In palestra bisogna sapere quando prendere fiato: ecco gli errori più comuni (e più rischiosi)
Come alternare correttamente inspirazione ed espirazione
per ottenere il massimo quando ci si allena
Non c’è attività più naturale della respirazione. Eppure respirando commettiamo diversi errori, perlomeno quando stiamo facendo sport o un qualsiasi sforzo fisico. Pensiamo a quando facciamo ginnastica, solleviamo pesi, corriamo o pedaliamo: tutti gli organi richiedono un supplemento energetico, che viene assicurato da un maggiore apporto di sangue, e di conseguenza di ossigeno e nutrienti, ai tessuti. Per fornire questo supplemento il cuore accresce la portata cardiaca e i polmoni la ventilazione, sia aumentando la profondità che la frequenza respiratoria.
Un’attività che benché sia involontaria possiamo gestire e controllare in modo da renderla più efficace. Ma in realtà, questo nostro potere è spesso vanificato dalle nostre scarse conoscenze. Pur essendo la respirazione una componente fondamentale nella pratica di qualsiasi sport, resta di solito un argomento affrontato con approssimazione. Un esempio: quando si fanno esercizi con i pesi la maggior parte delle persone durante la fase di carico istintivamente trattiene il respiro, oppure inspira, anziché espirare. «Scelta sbagliata — chiarisce Antonio La Torre, professore associato in Metodi e didattiche delle attività sportive alla Facoltà di Scienze motorie all’Università degli Studi di Milano — perché il blocco intenzionale della glottide, che si ha trattenendo il respiro, favorisce un aumento della pressione intratoracica che può arrivare anche a triplicarsi causando una compressione delle vene e un rallentamento del ritorno del sangue verso il cuore. Un rallentamento che si traduce in una riduzione del sangue in uscita, che può divenire insufficiente a ossigenare gli organi periferici, cervello compreso (vediI CONSIGLI)
Le conseguenze quali sono? «Non da poco: visione offuscata, capogiri o addirittura svenimenti in questi casi non sono affatto rari. Ma l’aumentata pressione intratoracica può creare problemi anche al cuore costretto a lavorare contro resistenze molto elevate. Per questo le attività di potenza praticate in apnea sono sconsigliate a chi soffre di patologie cardiovascolari». E, allora, come deve essere la respirazione quando si lavora con dei pesi come manubri, bilancieri e “macchine” varie? «Bisogna comportarsi in modo esattamente contrario rispetto a quanto istintivamente si sarebbe portati a fare. Si deve, infatti, espirare durante la fase di carico, cioè quando si compie più fatica e inspirare durante la fase di scarico, cioè quando il peso ritorna alla posizione di partenza. In pratica quasi sempre si espira durante le fasi “concentriche” del movimento, cioè quando i pesi si avvicinano al corpo, e si inspira durante le fasi “eccentriche”, quando i pesi si allontanano. Questo perché l’espirazione crea sempre una chiusura della cassa toracica (che riduce la pressione intratoracica che in una fase di sforzo è alta) e la contrazione di tutta la muscolatura addominale che aiuta a compiere lo sforzo».
E se invece ci si sta esercitando senza pesi, a corpo libero? «All’espirazione si abbinano i movimenti di flessione delle gambe e della colonna, di adduzione delle braccia (fase concentrica) mentre all’inspirazione si associano i movimenti di estensione delle gambe e della colonna, di abduzione delle braccia (fase eccentrica)». Come respirare quando si praticano attività aerobiche tipo ciclismo, corsa di resistenza, nuoto o “miste”, sia aerobiche che anaerobiche, come calcio, basket, pallavolo e tennis? «In questo caso – risponde La Torre – sia la frequenza che la profondità della respirazione aumentano proporzionalmente allo sforzo. Durante un esercizio di media-bassa intensità, è preferibile inspirare attraverso il naso perché narici e ciglia nasali agiscono da filtro proteggendo l’organismo da sostanze indesiderate e, contemporaneamente riscaldano l’aria in entrata». E quando l’esercizio fisico è intenso e l’inspirazione nasale non è più sufficiente? «Evidentemente si è costretti a respirare con la bocca. Ma se l’intensità dell’esercizio supera di circa il 60% del massimo consumo di ossigeno (e cioè si va oltre la soglia che permette di parlare con un compagno), il corretto scambio anidride carbonica-ossigeno si altera e nel sangue si accumula l’acido lattico. Questo significa che i centri respiratori sono sottoposti a uno stimolo addizionale, probabilmente derivante dall’aumento della concentrazione di idrogenioni (ioni che esprimono l’acidità del sangue) nel circolo ematico in conseguenza della produzione di acido lattico. Da qui l’insorgere del “fiatone”: efficace indicatore del fatto che l’organismo non ce la fa e bisogna ridurre i ritmi».
Da: Corriere della Sera , di Mabel Bocchi